UN
MINISTERO, NON UNA PROFESSIONE
L'istruzione vaticana sul ruolo dei laici nelle celebrazioni
liturgiche
Di don Giorgio Paximadi
Qualche
tempo fa otto dei più importanti dicasteri romani, tra cui la Congregazione
per la Dottrina della Fede, la Congregazione per i Vescovi, la Congregazione
per il Clero, la Congregazione per il Culto Divino ed altre ancora, hanno reso
di pubblico dominio un importante documento intitolato "Istruzione su alcune
questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei Sacerdoti".
L'autorevolezza del documento, gìà molto grande a causa del fatto
che esso promana da un così significativo numero di organismi della Santa
Sede, è accresciuta dall'approvazione "in forma specifica"
da parte del Santo Padre. In altri termini il Papa non si è limitato
a concedere la propria approvazione al suddetto documento nell'ambito dell'approvazione
generale che egli dà all'operato delle Congregazioni romane, senza della
quale i loro pronunciamenti non hanno alcun valore, ma ha ritenuto opportuno
approvarlo in quanto tale, riconoscendogli così un valore speciale.
Da tutto ciò risulta evidente che il documento in questione è
un'indicazione della più grande importanza per la vita della Chiesa,
e che deve essere conosciuto approfonditamente. Purtroppo invece, come ormai
accade sempre più spesso con siffatti testi ecclesiali, gli organi di
stampa ne hanno dato una presentazione carente, quando non viziata da errori
gravi. S'impone dunque la necessità di offrirne ai nostri lettori, pur
se brevemente, un'immagine il più oggettiva possibile. Il testo romano
riafferma in primo luogo l'insostituibile importanza dell'apostolato dei laici,
che si esercita, come suo campo specifico, nell'ambito delle realtà secolari,
che i laici sono chiamati ad evangelizzare, affinché "questi ambiti
trovino in Gesù Cristo la pienezza del loro significato". È
questo l'ambito primo in cui i laici vivono la loro testimonianza, radicata
nel Sacramento del Battesimo.
Accanto a quest'ambito loro proprio, i laici vengono anche chiamati, nella Chiesa,
a collaborare al ministero del clero, ossia di quei fedeli che sono chiamati
a svolgere nella Chiesa il ruolo di santificazione di annuncio e di governo
proprio di Cristo Sacerdote. Dato che tale compito suppone necessariamente il
Sacramento dell'Ordine, e questo in ragione della costituzione divina della
Chiesa, così come è voluta da Cristo stesso, testimoniata nella
Sacra Scrittura e tramandata dalla Tradizione e dal Magistero, è evidente
che, in questo campo, l'azione dei laici non può che configurarsi come
un "aiuto", una "collaborazione" all'opera dei ministri
ordinati. Ogni confusione in questo campo ottiene due risultati negativi: in
primo luogo quello di offuscare la distinzione tra sacerdozio ministeriale e
sacerdozio comune dei fedeli, ed in secondo luogo quella di distogliere i laici
dal compito loro proprio, l'annuncio del Vangelo nelle realtà secolari,
per "clericalizzarli" in modo inopportuno.
Il fondamento teologico di tutto ciò è indicato dal documento
nella distinzione tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale, che sono
partecipazioni diverse ed egualmente necessarie all'unico sacerdozio di Cristo.
II sacerdozio comune non basta a se stesso, ed il sacerdozio ministeriale è
"assolutamente insostituibile", perché senza di esso la comunità
cristiana rischierebbe di percepirsi come autosufficiente. L'esistenza del sacerdozio
ministeriale invece la porta a riconoscere che essa riceve la sua esistenza
da Cristo. È Cristo che ha istituito il ministero apostolico, e la Chiesa
lo riceve e non può darlo a se stessa. "II sacerdozio ministeriale,
dunque, è necessario all'esistenza stessa della comunità come
Chiesa".
Fatte queste necessarie premesse teologiche e constatato che da tempo, in certe
pratiche, si sono introdotti abusi dovuti alla mancanza di chiarezza dottrinale,
il documento richiama alcune disposizioni concrete, d'altronde già presenti
nella loro totalità nel vigente diritto della Chiesa, per far sì
che la vita concreta delle comunità ecclesiali corrisponda alla fede
che professano.
Il primo ambito in cui è necessaria una particolare sorveglianza, e quello
su cui si è più esercitata l'opera di disinformazione degli organi
di stampa, è il ministero della parola. Posto che tutti i fedeli, in
forza del loro battesimo, sono chiamati a "diventare sempre di più
araldi efficaci della fede", particolarmente nella catechesi, il documento
romano sottolinea che vi sono anche delle circostanze in cui i fedeli possono
essere ammessi a predicare in una chiesa od in un oratorio. Questo è
un punto particolarmente scottante e di recente si è letto che la Santa
Sede avrebbe vietato indiscriminatamente ai laici qualsiasi forma di predicazione,
cosicché un laico non potrebbe in nessun caso prendere la parola in una
chiesa. Bisogna affermare francamente che questo è falso. In effetti
l'Istruzione, all'art. 3 § 1, dice: "(...) l'omelia durante la celebrazione
dell'Eucaristia deve essere riservata al ministro sacro, sacerdote o diacono",
e più avanti, al § 4 del medesimo articolo 3 continua: "l'omelia
al di fuori della santa messa può essere pronunciata da fedeli non ordinati
in conformità al diritto o alle norme liturgiche e nell'osservanza delle
clausole in essi contenute". Resta dunque chiaro che il fedele laico ha
tutto il diritto non solo di tenere, ad esempio, una sessione biblica in chiesa,
cosa che non può essere chiamata omelia, ma anche di pronunciare l'omelia
propriamente detta, in una celebrazione liturgica che non sia quella eucaristica.
Un altro punto in cui l'informazione sull'Istruzione è stata carente
è quello della partecipazione dei fedeli non ordinati ai compiti del
parroco. Soprattutto nel nostro paese la mancanza di Sacerdoti ha fatto sorgere
varie esperienze in cui la cura pastorale di alcune parrocchie è stata
affidata a dei laici sotto la responsabilità di un Sacerdote. Si è
voluto far credere che anche queste esperienze siano state ritenute illecite,
e pure questo è falso. In realtà l'Istruzione non fa che riaffermare
quanto stabilito dal canone 517 § 1, ossia che è possibile una forma
di collaborazione dei laici al ministero pastorale sotto la responsabilità
di un presbitero moderatore, in casi particolari e a causa della penuria di
sacerdoti (cfr. Istruzione cit. art. 4).
Altri punti dell'Istruzione riguardano la figura del ministro straordinario
della Comunione, che in certi casi può affiancare il Sacerdote ed il
Diacono nella distribuzione dell'Eucarestia, ma non può evidentemente
sostituirsi ad essi quando siano presenti e soprattutto non può essere
considerato una partecipazione al ministero ordinato, e le celebrazioni domenicali
in assenza del presbitero, che non sono, e non devono quindi apparire, una celebrazione
dell'Eucarestia, ma sono delle soluzioni temporanee. Nessun'azione liturgica
può infatti sostituire la celebrazione dell'Eucarestia, culmine e fonte
della vita della Chiesa, e, secondo l'antichissima tradizione della Chiesa,
non vi è Eucarestia se non sotto la presidenza del Vescovo o del Sacerdote
che lo rappresenta.
Per concludere queste brevi e non esaurienti note di presentazione di un documento
così ricco, vorrei far notare che il servizio alla Chiesa non può
essere considerato una "professione" che un laico possa svolgere accanto
ad altre o magari prevalentemente, ma è prima di tutto una missione che
richiede una particolare conformazione a Cristo, conformazione data solo dal
Sacramento dell'Ordine. Considerare "professione" un ministero nella
Chiesa significa dare di essa un'interpretazione sociologica che non ha più
nulla a che vedere con la realtà viva del Corpo Mistico di Cristo. Non
è clericalizzando i laici che essi potranno assumere nella Chiesa il
posto che spetta loro, ma aiutandoli a rendersi sempre più coscienti
del significato e del valore della loro testimonianza battesimale negli ambienti
dove sono chiamati a vivere.